Intervista a Francesca M., i pensieri di un'interprete

interprete lingue vocali VEASYT Live

La professione dell’interprete attira sempre molte persone; permette di entrare in contatto con persone di lingue e culture diverse, di imparare sempre cose nuove e, in certi casi, di viaggiare molto!
Ma com'è la vita di un interprete? Abbiamo pensato di intervistare una delle interpreti più competenti di VEASYT Live!, Francesca M.. Sicuramente anche altri professionisti si riconosceranno in quanto detto in questa conversazione. Ci auguriamo anche che questa intervista possa diventare fonte di ispirazione per i più giovani che stanno per intraprendere proprio lo stesso percorso lavorativo. Perché la parola d’ordine è: crederci!

Fotografia di Francesca interprete di spagnolo, interprete di francese, interprete di tedesco, interprete di inglese

Cosa ti ha spinto a diventare interprete?
Fin da piccola mi sono trovata nella situazione di aiutare due persone che parlavano lingue diverse a capirsi: mio padre, italiano, e mia nonna, argentina. Conoscere e scoprire il mondo attraverso due lingue è stato certamente il motivo che ha acceso in me il desiderio di conoscerne altre e che mi ha fatto scegliere l’indirizzo linguistico per i miei studi, fin dal liceo. Nella scelta di questo percorso ha certamente influito anche l’amore per le lingue di mia madre che, da cantante lirica, era anche lei, in un altro senso, “interprete”. Ricordo benissimo di come mi convinse a studiare il tedesco, lingua non sempre amata dagli italiani per i suoi suoni duri, parlandomene come di una lingua musicale. Al momento della scelta dell’università, l’esperienza di “interprete” vissuta in famiglia ha fatto sì che mi interessassi ai corsi di laurea in interpretariato e decidessi di studiare alla Scuola per Interpreti e Traduttori di Trieste.

Tu sei nata in una famiglia italo-argentina. Quanto ti ha aiutato questo aspetto durante gli studi e successivamente nel lavoro?
Crescere bilingui presenta sicuramente numerosi vantaggi. Il primo è che a livello cerebrale si sviluppa la capacità di leggere e segmentare il mondo in modi diversi. La persona bilingue sviluppa un’acuta attenzione alle sfumature di significato e ha coscienza di come ogni lingua sia un “sistema” che “organizza il mondo a modo suo”.
Per molti anni lo spagnolo per me è rimasto “la lingua della famiglia”, legata a una dimensione di vincoli affettivi. È stato solo durante la specialistica in interpretariato di conferenza, che ho deciso di includere lo spagnolo nel piano di studi, con l’intenzione di spostare la mia conoscenza da una dimensione “familiare” a una “professionale”. Sicuramente la mia esperienza personale mi ha portata a integrare le strategie applicate spontaneamente in famiglia, con le tecniche interpretative apprese durante lo studio.

Qual è l’aspetto più difficile del tuo lavoro? E quello che ti appaga di più?
L’aspetto più difficile del mio lavoro è quello di calare la figura dell’“esperto linguista” in una pluralità di settori specialistici diversi, che possono spaziare dall’ambito vitivinicolo a una gara d’appalto per un impianto di pirogassificazione, da un manuale di istruzioni di un’idropulitrice a vapore a un referto medico. Non si può essere specialisti in tutti i settori, ma per fortuna mai come adesso il traduttore e l’interprete hanno accesso a una quantità di risorse che gli permettono di documentarsi, fare ricerche e approfondire tutti gli argomenti possibili. E proprio il continuo lavoro di ricerca e preparazione che accompagna ogni incarico è il lato più appagante del mio lavoro, perché sazia la mia curiosità di conoscere mondi nuovi.

Immagine di pila di libri da studiare

Ti è mai capitato di trovarti in una situazione delicata, difficile da gestire? Come l’hai risolta?
Ero stata assunta da un’azienda italiana facente parte di una multinazionale con casa madre tedesca. Il mio compito era quello di affiancare come interprete la responsabile italiana dei corsi di formazione che venivano erogati nelle varie filiali svizzere del gruppo per esportare il know-how aziendale italiano. A questi corsi assistevano anche dei formatori tedeschi, in qualità di osservatori. Purtroppo, per tutta la durata del progetto, ho percepito una costante ostilità tra i formatori italiani e i formatori tedeschi. Durante una sessione di formazione in cui la situazione tendeva pericolosamente allo scontro, ho cercato di smussare il più possibile i toni, le allusioni e le critiche. In questo caso, piuttosto che attenermi al dovere di “fedeltà al messaggio” ho cercato di svolgere una funzione conciliante, ritenendo che fosse importante preservare il più possibile le relazioni tra le parti coinvolte in quello che era un progetto internazionale delicato e di lunga durata.

A tuo avviso quali sono le qualità che deve possedere un buon interprete?
La prima qualità importante è quella di essere rigoroso nella preparazione in vista di ogni incarico. Ogni volta che ci si avvicina ad un settore nuovo o che si inizia una collaborazione con un nuovo cliente è necessario documentarsi in maniera ampia e approfondita, sia per garantire l’accuratezza e la precisione terminologica che per essere reattivi di fronte a una svolta imprevista dei temi trattati. È necessario poter contare anche su un ampio bagaglio di conoscenze accumulate nel tempo, sia per lavoro che per interessi personali, in cui convivono citazioni, fatti di attualità, nomi di pittori, filosofi, sociologi, ricordi di chimica e biologia del liceo o quello che si è ascoltato alla radio proprio due giorni fa. Alla lista va aggiunta ancora la capacità di saper dosare le energie tra i vari sforzi cognitivi che deve compiere l’interprete: ascoltare e analizzare il messaggio, estrarne il senso, renderlo in un’atra lingua, mantenendo costante l’attenzione concentrata sia sull’input che sull’output prodotto. È importante equilibrare bene l’energia dedicata a ognuno di questi sotto-processi per mantenersi lucidi fino a fine giornata.

Immagine di riunione aziendale con video-interpretariato

Hai un consiglio da dare a coloro che hanno appena intrapreso la tua professione?
Sì, il mio consiglio è di crederci! Credere che è un lavoro possibile, che è un lavoro che può dare grandi soddisfazioni e di cui si può vivere! Quando ho iniziato la mia avventura da freelance non sapevo come sarebbe andata e non sapevo come si costruisce un’attività da libero professionista. All’università, inoltre, avevo percepito parecchio pessimismo riguardo alla “congiuntura economica”, lo status non riconosciuto della nostra professione, le tariffe sempre più al ribasso ecc. Ma fin dall’inizio ho voluto comunque credere in quello che stavo facendo e giorno per giorno ho inventato le mie strategie, ho tenuto traccia delle azioni fatte per ritornare su quelle che si erano dimostrate poco efficaci, ho cercato lavoro sia rispondendo ad annunci che pubblicandone io, mi sono proposta direttamente alle aziende, ho creato la mia presenza online, mi sono dedicata a cercare e abitare ecosistemi di altri liberi professionisti dove intrecciare reti di contatti informali. Tutte azioni necessarie, che vanno compiute con costanza, perseveranza, fede, audacia e… su larga scala! Fondamentale è non demordere ed entrare nell’ordine di idee che è necessario compiere un grande numero di azioni per avere un risultato. 

Cosa diresti alle persone per far capire quanto è importante il tuo lavoro?
Siamo nell’era della comunicazione. Le aziende hanno la necessità di ricorrere a nuove figure professionali come quella dello storyteller, del socialmedia manager o del web marketing manager per distinguere la propria presenza online nel marasma di internet, ma quando si tratta di comunicazione interlinguistica-interculturale sembra improvvisamente svanire tutta questa consapevolezza. Non si può, proprio nella fase cruciale della comunicazione con un pubblico straniero, sottovalutare l’importanza della scelta del professionista adeguato, rischiando di vanificare tutta una serie di sforzi fatti e attenzioni avute in fasi precedenti. Mi piace ricorrere a questa citazione, per rendere meglio l’idea: “La comunicazione non è quello che diciamo, bensì quello che arriva agli altri” (Thorsten Havener). E se tra quello che diciamo e quello che arriva agli altri c’è anche un passaggio da una lingua all’altra è cruciale la scelta dell’interprete cui affidare un passaggio tanto delicato.

Quando abbiamo chiesto a Francesca se poteva rilasciarci questa intervista, lei si è resa subito disponibile, la ringraziamo per questo e per la professionalità dimostrata in VEASYT Live!

Se hai bisogno di un interprete e non sai come trovare un interprete, contattaci a info@veasyt.com, ti metteremo in contatto con gli interpreti di VEASYT Live!

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VEASYT offre la possibilità di guardare la traduzione in lingua dei segni italiana (LIS) di questo articolo a cura di Veronica A., interprete di italiano - LIS (lingua dei segni italiana):

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